Ventitré anni fa esatti, il 28 marzo del 1997, si consumava un misfatto a mare che avrebbe tristemente anticipato le stragi che hanno riempito di vittime negli ultimi anni le fosse del Mediterraneo.
Così, ricordare la Kater I Rades, tornare a sentire come abbiamo fatto i sopravvissuti di quell’eccidio, non è purtroppo esercizio di memoria.
È pura attualità. L’origine materiale e violenta della stagione dei respingimenti.
Una chiara dimostrazione di cosa può provocare un blocco navale militare più volte evocato, anche in sede europea.
Contro i disperati in fuga attraverso le coste della Libia. E di come l’uso dei mezzi militari produca stragi.
Anche allora dilagava un clima di isteria contro i profughi.
In quel caso gli albanesi che arrivavano con le carrette a mare, con la Lega Nord ben rappresentata da Irene Pivetti allora a capo del parlamento.
Essa che cominciava a chiedere espressamente di sparare sulle navi dei profughi e di ributtarli a mare.
Così, il 28 marzo del 1997, una nave militare italiana speronò in acque internazionali la carretta del mare Kater I Rades.
Në provocò l’affondamento con la morte di oltre cento persone – 105 per la precisione – molte delle quali donne e bambini.
Fuggivano tutti dalla guerra civile che era scoppiata in Albania contro il fallimento delle Piramidi finanziarie e il presidente Sali Berisha che le aveva promosse e che, per rispondere alla rivolta popolare, aveva dichiarato lo stato d’emergenza.
La Sibilla era tra le navi italiane impegnate in un «blocco» deciso dal governo Prodi in accordo con quello albanese e con il presidente Sali Berisha senza l’assenso del parlamento e senza che ancora fossero conosciute le regole d’ingaggio delle forze armate.
Articolo scritto dal giornale il manifesto
A 23 anni dall’ormai famoso venerdì santo del lontano 28 marzo 1997 vi lascio questa video intervista di Albanianews.it.